Articolo

[Anno I, n° 1. Marzo 2000]

Di Alberto Alberti

Alberto Alberti è medico neuropsichiatria e psicoterapeuta, socio fondatore e didatta SIPT, docente della Scuola di Psicoterapia Psicosintetica, Direttore della Scuola di Counselling Psicosintetico, Direttore della Rivista di Psicosintesi Terapeutica; vive e lavora a Firenze.

“i tecnici tendono ad innamorarsi delle
loro armi… e ad esserne poi corrotti”.
L. W Dobb

Prendendo spunto dal recente dibattito sul tema della terapia elettroconvulsivante, sulla sua indicata utilità in specifiche patologie e sul rischio di effetti collaterali, cogliamo l’occasione per precisare su questo argomento, ed in generale sulle tecniche, l’atteggiamento e la posizione della psicosintesi terapeutica.
Prima di tutto la psicosintesi si rivolge alla soggettività umana, che esiste al di là sia della dimensione psichica che di quella biologica. Si cerca di realizzare ciò soprattutto mediante “l’incontro umano” tra paziente e terapeuta e la riapertura di un “dialogo intersoggettivo”. Tutto ciò naturalmente va al di là della tecnica usata, ed è indipendente da essa. In pratica ciò si traduce nel fatto che ogni tecnica usata deve essere considerata come un semplice strumento in mano all'”uomo che cura” ed al servizio dell'”uomo che soffre”. Il suo uso deve essere quindi concordato col paziente, dopo una esplicitazione dei suoi effetti, rischi, indicazioni e controindicazioni, ed inserito come parte di un piano terapeutico elaborato insieme al paziente nell’ ambito di un rapporto di cooperazione cosciente.
In secondo luogo la psicosintesi terapeutica non si serve quasi mai di un solo strumento tecnico, ma tende sempre ad utilizzare un insieme di tecniche e metodi, sia fisico-biologici che spirituali, sia psicologici che relazionali. Ciò significa che un qualunque “mezzo terapeutico” in generale non potrà mai da solo costituire una unica e specifica terapia. La terapia infatti va intesa come clima terapeutico, per realizzare il quale è necessario un insieme sinergico di fattori diversi. Pertanto la psicosintesi terapeutica, valorizzando soprattutto la soggettività e il rapporto umano e vivente tra paziente e terapeuta, ed utilizzando tutte le tecniche efficaci conosciute a seconda delle loro indicazioni, non darà mai eccessiva importanza al singolo strumento usato, considerandolo sempre come “parte” di un più ampio piano terapeutico in funzione di un soggetto umano.
In terzo luogo ci sembra utile precisare che le tecniche, in quanto semplici “strumenti”, sono di per sé neutre da un punto di vista etico. Ciò che conta è ‘uso che ne viene fatto e per quali scopi. Così per esempio anche una “psicoterapia” può essere esercitata con “violenza”, in modo troppo direttivo ed “intrusivo” nei confronti della personalità del paziente, oppure con superficialità e scarsa incisività (in tal caso inutile perdita di tempo e denaro e sottrazione al paziente di possibilità migliori di cura), mentre per esempio un metodo cruento e invasivo come quello chirurgico può essere esercitato col consenso del paziente, con rispetto per l'”uomo” che esiste dietro il “malato”, senza arroganza, con amore e umanità.
In quarto luogo la psicosintesi terapeutica pone specificamente in relazione la tecnica usata con il grado di competenza e autoformazione del terapeuta. Ciò significa che certi strumenti tecnici sono “di per sé” più invasivi e violenti di altri, indipendentemente dal modo di usarli. Questo per dire che più rischioso è il metodo di per sé, maggiore deve essere il grado di autoformazione e l’ esperienza, nonché la maturità e il senso di responsabilità del terapeuta.
In quinto luogo è necessario ricordare che esiste nell’essere umano la tendenza ad identificarsi nei metodi usati, per cui ciò che inizialmente era un semplice “mezzo” per raggiungere un risultato, tende a diventare un vero e proprio “fine”. Si rischia così che il paziente cessi di essere il “soggetto della terapia” per diventare solo un “oggetto per la terapia”, un semplice mezzo di sperimentazione dello strumento tecnico.
Riferendosi specificamente alla terapia elettroconvulsivante, si ritiene che le indicazioni attuali per l’uso di tale tecnica siano assai limitate (depressioni gravi resistenti alle terapie farmacologiche e rari casi di evoluzione amenziale), che i risultati non siano comunque garantiti nel tempo, che non sia esente da gravi rischi (l’intervento viene effettuato in anestesia generale, che già di per sé comporta un rischio, possono permanere come esiti disturbi della memoria, si allontana il paziente dalla presa di coscienza di essere soggetto e non oggetto della terapia), e che inoltre non si fondi su valide basi scientifiche (in pratica si sa ancora molto poco sul suo meccanismo di azione). Si ricorda infine che data la suaccennata tendenza dell’essere umano a dimenticarsi del fine e ad identificarsi nei mezzi trasformandoli in fini a se stessi, non è sufficiente a nostro avviso un semplice richiamo ad evitare gli “abusi”, ma è necessaria una rigorosa limitazione alle specifiche indicazioni e che ne sia consentito l’uso solo in centri altamente specializzati (con operatori adeguatamente formati, non solo tecnicamente, ma anche dal punto di vista umano e psicologico).
In tempi come quelli di oggi, nei quali l’uomo ha a disposizione strumenti e mezzi tecnici potentissimi, capaci di distruggere con un solo suo gesto addirittura il genere umano, e nei quali, nello stesso tempo, questo stesso uomo si rivela spesso inconsapevole di sé, incapace di dominare i propri impulsi e istinti, di controllare le proprie emozioni, di dirigere i propri pensieri, non è forse il momento di porsi seriamente il duplice problema, che se da una parte è quello di ridurre gli “armamenti”, dall’altra è quello di sviluppare la coscienza e rinforzare la propria volontà e capacità di controllo?
Parole chiave: psicosintesi, elettroshock , tecniche, uso, strumento, autoformazione.