Rivista di Psicosintesi Terapeutica
Anno VIII n. 15, Marzo 2007

EDITORIALE

PSICOSINTESI E PSICO-ONCOLOGIA

Solitudini e relazioni

di Alberto Alberti

La Psico-oncologia, disciplina sempre più attuale nata nella seconda metà del secolo scorso nell’ambito della Medicina Psicosomatica, si occupa del riconoscimento e del trattamento di tutti gli aspetti psicologici e sociali che accompagnano la malattia oncologica, nel paziente, nei familiari e negli operatori.

L’ottica della Psicosintesi, che fa riferimento ad una immagine integrale e dinamica dell’uomo, inteso come essere vivente bio-psico-spirituale e relazionale, si costituisce naturalmente come terreno recettivo, per l’accoglienza nel suo alveo di tale disciplina. Ne è testimonianza la recente nascita di un “Gruppo di Psico-oncologia” nella SIPT (Andrea Bonacchi, Massimo Rosselli) e la pubblicazione in due parti – la seconda seguirà nel prossimo numero della rivista – di un insieme monografico di contributi sul tema “Psicosintesi e Psico-oncologia”.

La diagnosi di malattia oncologica costituisce spesso per il paziente un evento terribile, che lo pone di fronte alla necessità di affrontare e dare un senso al binomio sofferenza-morte. È comunque possibile, e molte sono le persone che ci sono riuscite, una comprensione in senso evolutivo della sofferenza, che può in certi casi essere colta e utilizzata come occasione per un ampliamento del proprio progetto esistenziale, una opportunità di crescita interiore, una ri-scoperta di nuovi valori (Marina Caretta).

Nell’ambito di una visione pluridimensionale e di interazione energetica dell’esserci umano, di particolare interesse è l’ipotesi di una partecipazione di fattori psichici e spirituali nell’eziopatogenesi della malattia tumorale: in particolare il vissuto di una irreparabile perdita relazionale e la condizione di impotenza, solitudine e vuoto di significato correlati sembrerebbero poter favorire un analogo scollegamento relazionale all’interno dell’organismo (Salvatore Franco),

La malattia oncologica coinvolge insieme al paziente tutte le persone significative che ruotano intorno alla sua vita (familiari, amici, operatori, ecc.), concorrendo alla formazione di un campo relazionale, che solo in parte è cosciente ed esplicitato, tendendo per lo più a permanere in un’area implicita inconscia (Enrico Ruggini).

Gli aspetti drammatici della malattia oncologica possono in certi casi essere leniti, oltre che da atteggiamenti chiaramente empatici e di condivisione, anche da apparentemente opposte modalità improntate sull’umorismo e sulla comicità, che possono controbilanciare gli aspetti angosciosi e favorire una sintesi (Anna Zini).

Gli aspetti relazionali sembrano a volte assumere una importanza tanto pregnante, da relegare in secondo piano la paura della malattia e della morte, e da diventare essi stessi come valori fondamentali, come se la vita relazionale fosse più importante di una singola vita individuale (Silvia Bianchi).

Viene infine presentato (Manuel Katz, Alice Maruelli) il modello di riabilitazione psico-oncologica attuato presso il Ce.Ri.On (Centro di Riabilitazione Oncologica di Firenze), nato dall’integrazione tra un servizio pubblico (Centro per lo Studio e la Prevenzione Oncologica), e privato (Lega Italiana per la Lotta Contro i Tumori), e il Volontariato (Associazione Donna Come Prima, LILT).

Il sottotitolo scelto per questo primo insieme di contributi “solitudini e relazioni” sembra voler condurre la nostra attenzione e farci riflettere su alcuni aspetti fondamentali delle situazioni di grave disagio esistenziale:

non pare essere tanto la sofferenza di per sé il problema centrale dell’uomo, quanto la solitudine nella sofferenza (situazione che il soggetto vive, quando si trova di fronte ad un dolore più grande delle sue capacità di sostenerlo da solo);

la prima cura di ogni forma di sofferenza non può essere pertanto che l’instaurarsi di una relazione, una presenza ed un esserci insieme, in altre parole una cura della solitudine.

Ma voglio aggiungere un’ulteriore riflessione: l’essere umano non è nato per soffrire, ma per gioire, l’uomo è gioia di esserci. Il dolore affonda le sue radici in una gioia non relazionata, oppure disconfermata e non condivisa: la sofferenza è gioia mortificata. L’uomo terapeuta non può allora limitarsi all’ascolto e condivisione della sofferenza, ma ha anche il compito di procedere oltre: deve apportare la propria gioia ed una propria visione positiva del mondo, fino a raggiungere e ri-animare il Sé dell’uomo paziente, e condividere la sua nascosta ma ancora presente gioia di esserci (maieutica dell’anima).

Alberto Alberti